Alla ricerca delle origini

Avete mai osservato con cura la foto scattata da Robert Capa, nel 1943, durante la campagna di Sicilia?

È così che nell’immaginario collettivo, specialmente in altre regioni e all’estero, si pensa siano gli abitanti della Sicilia: di statura medio-bassa, con capelli neri e carnagione scura. 

Eppure, viaggiando per l’isola, si incontrano siciliani diversi.
«Che cavolo c’entra tutto questo con noi esploratori anfibi?» vi state giustamente chiedendo.
Un po’ di pazienza e vi espongo ciò che ho elaborato. Si tratta di alcuni collegamenti che, sebbene all’apparenza possano sembrare alquanto forzati, secondo me, potrebbero avere una certa logica.

Attenzione! 

Quanto sto per illustrare non rispecchia in alcun modo il pensiero del Reggimento Lagunari “Serenissima, né quello dell’Associazione Lagunari Truppe Anfibie né, a maggior ragione, dello Stato Maggiore dell’Esercito. Si tratta solo ed esclusivamente di un mio personale tentativo di mettere insieme quelli che possono essere considerati ‘indizi’.

Indìzio – segno, cosa astratta o concreta che con la sua presenza può indicare l’esistenza di un’altra; fatto certo che lascia prevedere o dedurre con qualche fondatezza un altro fatto non ancora avvenuto o non conosciuto direttamente.

Innanzitutto, prendiamo atto che i Lagunari sono diversi da altri soldati dell’Esercito e noi ancora di più.
Chi è iscritto all’A.L.T.A., sul numero 57 (giugno 2024) de il lagunare può leggere alcune interessanti riflessioni del Generale Segala. Qualcuno di voi se lo ricorderà quando, allora Tenente Colonnello, comandava il 1° battaglione lagunari “Serenissima”. Oltre ad approvare e condividere – senza riserva alcuna – quanto egli esprime, non posso fare a meno di notare che descrive i Lagunari come differenti.
È vero; lo siamo sempre stati. Personalmente, considero il riconoscimento della Specialità datato 1984 difficile da metabolizzare. Undici anni prima, alla Scuola ACS per Truppe Meccanizzate e Corazzate di Lecce, noi lagunari assaltatori eravamo quattordici baschi neri tra circa novanta fanti meccanizzati che indossavano invece baschi kaki; questo perché – ci dissero allora – eravamo una specialità della fanteria. Quindi?
All’apparenza giuridicamente illegali, eravamo comunque diversi e la settimana anfibia a Torre Veneri, assieme agli AUC lagunari provenienti da Caserta, ne era la prova più evidente.

 

L’essere parte di qualcosa che la forza armata tollera ed impiega, senza riconoscerla ufficialmente, è una caratteristica che porterò con me in tutti gli anni di servizio a venire. Uno dei tanti tasselli del puzzle che ho cercato di mettere insieme.
 

Puzzle – 〈pḁ∫l〉s. ingl. [d’incerta origine] (pl. puzzles pḁ∫l∫〉), usato in ital. al masch. – 1. Rompicapo, gioco che costituisce un rompicapo. Per estens., problema, questione di difficile o impossibile soluzione. 2. Gioco di pazienza che consiste nel ricomporre a mosaico i frammenti di varia forma in cui è stata suddivisa (di solito mediante fustella) un’immagine stampata su cartone o su legno, o, più genericamente, gli elementi sparpagliati di un oggetto.

Devo ammettere che per molti anni la storia dei Lagunari, in quanto Specialità della Fanteria, mi ha interessato poco. Sentivo dire nei discorsi, e leggevo distrattamente qua e là, che eravamo gli eredi dei Fanti da Mar della Serenissima Repubblica di Venezia; da cui deriva il nome del reggimento.
Per molto, moltissimo tempo, il mio sguardo è stato rivolto al futuro piuttosto che al passato. Poi, come spesso accade, quando si invecchia c’è la tendenza a guardare indietro e riflettere su ciò che si è fatto e, talvolta, chiedersi perché.
Nel mio caso, nei trent’anni di servizio nella Specialità, ho cercato di essere un lagunare speciale (se mi è consentito l’uso di questo aggettivo, oggi assegnato a specifici reparti delle nostre forze armate), più attratto da missioni condotte da pochi elementi, utilizzando metodi particolari – spesso considerati non ortodossi – piuttosto che alle operazioni convenzionali.

A rischio di essere motivo di studio per qualche psicologo, vi devo confessare che da ragazzo leggevo un periodico a fumetti della serie ‘Super Eroica’. Tra i diversi racconti allora pubblicati, ero particolarmente attratto dalla figura dei Commandos Britannici, in ragione del loro modo di essere ed agire.

Qualche anno più tardi, il destino me ne avrebbe offerto la possibilità.

“I due giorni più importanti nella tua vita sono il giorno in cui sei nato e il giorno in cui scopri il perché”. (Mark Twain)

Nell’estate del 1975, al rientro a Venezia dalla Scuola Incursori della Marina Militare, ho realizzato che quel modo di operare esercitava una particolare attrazione. Nella solitudine assoluta, che solo le immersioni notturne con autorespiratori a circuito chiuso possono dare, pensavo che avrei operato con i nostri incursori, quei Lagunari un po’ diversi dagli altri, perché portavano il fazzoletto nero, che avevo visto saltare in acqua dagli elicotteri.
Mi sbagliavo; quei Lagunari non esistevano più; cancellati.
Tuttavia, ciò che restava della Specialità anfibia dell’Esercito Italiano mi voleva ancora. A Sant’Andrea, dov’ero stato trasferito per fare quello che avevo imparato al Varignano, decisi che se le Truppe Anfibie volevano simili operatori io glieli avrei dati.

La storia dei Lagunari si dice inizi nel 1550 con i Fanti da Mar però, in quanto odierna Specialità della Fanteria inizia (come apparsa dal nulla) nel 1951.
Solo colui che crede nella magia può pensare che sia possibile tirar fuori un coniglio da un cilindro vuoto. Poiché io non sono uno di questi, sono convinto che i Lagunari non siano stati creati nell’immediato secondo dopo guerra ma già esistenti, sotto altra forma, e chiamati in quel modo perché schierati in un’area caratterizzata dalla presenza di lagune. Ecco perché ho messo insieme un puzzle.
Non ho mai inteso mettere in discussione le ricerche storiche compiute da altri e raccolte in volumi pubblicati nel corso degli anni. Quello che ho cercato di fare, in primo luogo per me stesso, è stato individuare, nelle diverse epoche, quei soldati che, più di altri, avevano le caratteristiche che la Pubblicazione n. 782 della serie dottrinale affermava servissero per operare nel particolare ambiente della cimosa costiera lagunare: dinamismo, iniziativa, aggressività, adattamento, sorpresa, ricorso al combattimento notturno.

Peculiarità che, secondo il mio punto di vista, al termine della Guerra Fredda sono andate sbiadendo nel moderno lessico della forza armata (provate a confrontare le diverse edizioni, dal 1966 al 2016, del Manuale del Combattente) sono rimaste invece immutate nei metodi di preparazione degli esploratori anfibi. E qui, ancora più prepotente, ritorna la domanda: «Perché siamo così diversi?»
Così come per i siciliani alti e biondi citati all’inizio, credo si possa trattare di caratteri ereditari, trasmessi attraverso codici genetici del nostro DNA di soldati. Alcuni scienziati – e, ovviamente, i nostri innumerevoli detrattori – potranno essere contrari, ma è un’ipotesi che mi affascina.
Per quanto riguarda i Fanti da Mar, fonti diverse li descrivono piuttosto in generale mentre almeno una (pubblicata su venetostoria.com nel 2019) ne nega addirittura l’esistenza. Chi abbia ragione poco importa, è passato troppo tempo perché io trovi dettagli che interessano la mia ricerca.
Un po’ più vicini sono i Cacciatori del Sile, impiegati nel 1848 nella difesa di Venezia contro gli Austriaci. Per descriverli, prendo a prestito quanto riportato da Fabio Sorini (già presidente della Sezione XXII btg. carri “Serenissima”, scomparso nel dicembre del 2024) nel suo libro “dai fanti da mar alla forza di proiezione dal mare” (Roberto Chiaramonte Editore, 2008).

[…] Rispetto alle altre formazioni volontarie, erano un corpo speciale. Quegli uomini, infatti, erano in grado di operare sia sulla terra ferma sia in laguna. […] Nelle loro azioni in laguna, si spingevano con le barche lungo i canali dietro alle linee austriache con compiti di commandos e guastatori. […] Nell’azione del Cavallino furono determinanti la sorpresa e soprattutto la perfetta conoscenza dell’ambiente. Gli Austriaci, più forti militarmente, nulla poterono contro uomini ben determinati che, apparsi all’improvviso, piombarono sulle loro postazioni. Nessuno avrebbe pensato si potessero attraversare gli insidiosi canali della laguna di notte e, per di più, sotto una fitta coltre di nebbia.

Effettivamente, qui troviamo molte affinità con il modo di operare dei Lagunari, qualcosa che ha contribuito alla creazione del Settore Forze Lagunari nel secondo dopoguerra.
Nel libro scritto dal Colonnello Mangione (pubblicato da Helvetia Edizioni nel 1991) sono elencati i reparti del Genio che per cinquantasei anni (dal 1877 al 1933) hanno denominazioni in cui appare l’aggettivo «lagunari». Non ne avevo mai sentito parlare prima e, per completare il quadro, su input del Colonnello Grazioli, ho trovato una cartolina militare datata 1904 a riguardo.

 

Tuttavia, anche se Zappatori e Pontieri Lagunari hanno effettivamente partecipato alla Prima Guerra Mondiale, organizzati per gestire il supporto logistico disimpegnando servizi di trasporto fluviale e nella laguna di Venezia, con tutto il rispetto dovuto per coloro hanno combattuto per l’Italia, oltre all’aggettivo, credo di non aver altro in comune con loro. Il mio utilizzo delle imbarcazioni è ben diverso, negli scopi così come nelle tattiche, tecniche e procedure.

Invece, ecco cosa ho trovato in un altro testo sul primo conflitto mondiale:

[…] il 30 giugno 1914, venne creata una specialità: L’Esploratore. […] Determinato il modo di comportarsi degli esploratori nelle varie circostanze del combattimento, con l’uso limitato del fuoco e la massima astuzia […] fanteria ardimentosa che fosse preceduta sul fronte e sui fianchi da arditi esploratori […] […] minori reparti formati con elementi scelti, arditi, volontari, ben equipaggiati e ben provvisti di mezzi di nutrizione, comandati da ufficiali audaci e valenti, per intensificare le esplorazioni in territorio nemico con azione larga e ardita, incursioni ardite per distruggervi ricoveri, malghe, trincee, difese e simili, interrompere strade ecc., catturare prigionieri. […] Leggendo il libro del Magg. Baseggio, che ancor oggi non sa neppur lui se fu l’ideatore o la prefazione eroica dell’arditismo italiano […] l’aver compiuto azioni ardite, come esplorazioni, punte arrischiate e pericolose, scorrerie ecc., atti bellici aggressivi d’ogni tempo e d’ogni guerra compiuto da reparti costituiti a tale scopo e che in Italia nel 1914 furono chiamati esploratori.

Il fatto che Esploratori ed Arditi fossero stati creati nello stesso periodo storico e le modalità d’azione si adattassero al nostro modo di operare costituivano, già di per sé, preziosi indizi.
Un collegamento più diretto lo trovai, per caso, sfogliando un altro libro sugli Arditi. Facendo scorrere le pagine, la foto di un canale attirò la mia attenzione e la didascalia che la accompagnava mi sorprese.

Ho servito due anni come assaltatore a Malcontenta e i Lagunari sono ancora lì dai tempi della loro costituzione, ma mai avevo sentito qualcosa che richiamasse i fatti riportati in questo libro.

La Malcontenta […] divenne il quartiere degli arditi della Terza Armata. Un vasto recinto presso la laguna, costruito ad uso polveriera, venne trasformato in campo di esercitazioni dove le truppe potevano liberamente manovrare con tutte le armi. […] il piccolo borgo parve trasformato in una vivace cittadina la piccola città degli arditi. La Malcontenta divenne anche un campo d’istruzione per tutti gli arditi dell’Armata, nei turni di riposo. Nell’azione del Basso Piave gli arditi della Malcontenta, sotto la guida del capitano Mario Bragatto, si unirono ad altri battaglioni dell’Armata per conquistare alla Patria quel lembo di terra che sta tra due foci del fiume. […] si raccolsero là contemporaneamente tutti i nostri battaglioni per celebrare la festa degli arditi […] Gabriele d’Annunzio scusò la sua assenza con la seguente lettera: Mio Colonnello, Un giorno della primavera scorsa io fui molto fiero d’essere consacrato «ardito», a Capo Sile, da un giovane capitano che mi donò il suo pugnale […]. Quel pugnale porto alla cintura in tutti i miei voli di guerra […] 21 settembre 1918

Sapere che negli specchi d’acqua attorno Malcontenta, dove ancora oggi i Lagunari acquisiscono la qualifica anfibia, nuotarono gli Arditi, dovete ammettere, è di per sé un bell’indizio e un tassello per il mio puzzle.

Un altro possibile tassello fu aggiunto un giorno dal Colonnello Motolese (un nostro Comandante con la ‘C’ maiuscola) che cercava informazioni – per conto degli Incursori di Marina – circa una presunta targa che confermasse la presenza dei Caimani del Piave a Sant’Andrea.
Sapevo dell’esistenza di questi Arditi che agivano a nuoto – a cui è dedicato un monumento nel comune di Sernaglia della Battaglia – ma di sicuro sulla nostra isola nessuna targa ne faceva cenno; non da quando ci misi piede nel 1975.
Non ci ho pensato più fino a quando, sul sito web dell’Associazione Nazionale Arditi Incursori Marina (ANAIM), ho trovato il motivo di quella loro ricerca.

Cercando altre fonti, sono incappato in un articolo dello Storico Antonio Mucelli – pubblicato nel notiziario dell’associazione storico-culturale “Il Piave 1915-1918” (N. 27 del 2013) – da cui ho estrapolato alcuni elementi:

[…] …I “nuotatori” furono voluti inizialmente dal giovane ufficiale della Regia Marina e futuro Ammiraglio Vittorio Tur … […] …facendo ora un passo indietro, riconosciuta dopo la Battaglia del Solstizio, la necessità di un corpo speciale di nuotatori, per quattro mesi continui, Remo Pontecorvo, assunto l’incarico dal Generale Zoppi, giorno e notte, sotto piogge battenti, con temperature rigide, non si dette riposo, finché non fu pronto un manipolo di “Caimani”. Vi partecipano elementi provenienti dalle Fiamme Nere e dalle Fiamme Rosse… […] …i nuotatori d’assalto erano divenuti in breve preziosi elementi d’azione, addestrati ad attraversare il fiume, nuotando silenziosamente, a gettarsi sui posti avanzati e sulle pattuglie in ricognizione, lavorare silenziosamente di pugnale e ripassare il fiume riportando prigionieri, materiali, informazioni.

Aggiungo le parole di un articolo riguardo al monumento collocato nella frazione di Falzè di Piave:
«In acqua avevano adottato una tecnica di nuoto ispirata agli alligatori: per minimizzare la superficie esposta
e quindi la passibilità di essere individuati, esponevano dall’acqua solo la testa al di sopra delle narici.
Da questo probabilmente deriva la denominazione di caimani.»
Gli esploratori anfibi – anche oggi – si addestrano alla stessa identica maniera.

Il fatto che Arditi della Marina si addestrarono a Sant’Andrea e altri dell’Esercito adottassero le stesse tecniche, se permettete, è un grosso indizio

.

Dopo la Grande Guerra non c’è più alcun riferimento – storico o altro – che si colleghi ai Lagunari. Eppure, a soli sei anni dal termine del secondo conflitto mondiale, l’Esercito Italiano decide di creare un corpo con questo nome. E qui torniamo all’esempio del prestigiatore che estrae un coniglio da un cilindro vuoto.
«E se così non fosse?» torno a ripetermi «Se il cilindro non era affatto vuoto?».
Un paio di anni fa, per aggiornare il quadro sul trattamento dei prigionieri di guerra Italiani, in un libro riguardante lo sbarco alleato in Sicilia nel 1943, ho appreso che il Regio Esercito schierava reggimenti costieri in funzione anti sbarco. Quindi, il termine ‘costiero lagunare’ assegnato ai battaglioni “Marghera” (1951) e “Piave” (1952) non era inventato al momento. Così come, con molta probabilità, non era un’idea nuova unire elementi dell’Esercito e della Marina Militare a formare un’unità combattente ‘interforze’

Il fatto poi che questi soldati e marinai portassero delle mostreggiature diverse da tutti gli altri, comprese quelle sui polsi per sergenti e truppa – sempre a mio parere – costituiva un altro indizio.
«C’era qualcosa di simile durante la guerra?» mi sono chiesto.
In altra occasione, parlando del fazzoletto nero, vi ho detto che un Colonnello, padre di un nostro ufficiale, fece un commento a riguardo:
«Nero anziché rosso? Come per le mostrine del terzo gruppo esplorante rispetto alle altre componenti della divisione di fanteria di marina “San Marco” nel periodo 1944-45!»
Allora non diedi peso a quelle parole. Solo trent’anni dopo, cercando qualche dettaglio che servisse a chiarire alcune idee da troppo tempo senza risposta, ho trovato che il Terzo Gruppo Esplorante era in prevalenza costituito da Arditi, le cui mostrine pentagonali anziché rosse con il Leone di San Marco – come per il resto della divisione – erano nere.
«Possibile che, all’atto di costituire i Lagunari, al termine della seconda guerra mondiale, qualche ufficiale si sia riferito proprio a questo?» è una domanda che mi sono posto.
Sfortunatamente, la 3a Divisione di Fanteria di Marina “San Marco” apparteneva all’Esercito Nazionale Repubblicano (R.S.I.), ragion per cui è improponibile alcun collegamento diretto… pronunciato ad alta voce.

Malgrado ciò, la divisione era un’unità per così dire ‘interforze’ come lo sarà il Settore Forze Lagunari. Allo stesso modo, i suoi componenti avranno mostrine pentagonali, rosse con il Leone di San Marco. Può essere questo considerato un ulteriore tassello del puzzle?

Ancora il coniglio sia apparso dal nulla: Come si spiega il fatto che, indossata l’uniforme dei Lagunari, questo abbia adottato un Inno le cui parole sono simili a quelle di altri canti militari? Forse che il Maestro di Musica aveva militato in un reparto che cantava un’aria quasi uguale? 

Ho trovato tre canti militari che hanno un’impressionante somiglianza con “O forza Lagurare”:
A noi la morte non ci fa paura (scritta nel 1944 da Anonimo per il battaglion toscano)
Marciare cantando (del periodo 1944-45, cantata dagli arditi esploratori della San Marco)

Vent’anni (odierno, cantato dai paracadutisti della brigata “Folgore”)

Dovete ammettere che i loro testi mostrano interessanti analogie.
In precedenza, nel descrivere Sant’Andrea, ho accennato al fatto che al termine della seconda guerra mondiale l’isola ospitò una struttura – gestista dalla Marina britannica – in cui il Comandante Eugenio Wolk (ideatore degli uomini Gamma) recuperò alcuni “maiali” della Decima Mas.
Ancora più importante è la presenza di questi mezzi d’assalto subacquei già nell’autunno del 1944. In quel periodo, la Decima studiò un’azione sul porto di Bari che prevedeva l’impiego di un SLC (come quello raffigurato nella foto seguente scattata a Sant’Andrea al termine del conflitto) con nuotatori Gamma a traino. L’azione non ebbe luogo, ma l’addestramento si svolse con serietà.

Considerato che il plotone si addestra in maniera molto simile e utilizza autorespiratori aventi medesime caratteristiche, potremmo quasi dire che molto di quei nuotatori Gamma è rimasto sull’isola. Se questo non è altro che un ulteriore tassello del puzzle, cos’è?

Quanto finora analizzato si riferisce al periodo che va dal 1550 al 1951 e comprende due momenti significativi per la storia d’Italia che per noi Lagunari sono avvolti in una fitta nebbia.

Come molti di voi sanno, navigare nella nebbia non è impossibile quando si ha un angolo di rotta da impostare sulla bussola.
Se avete ancora un po’ di pazienza, seguitemi nell’analisi di alcuni indizi risalenti al periodo in cui i Lagunari sono nati e cresciuti. La disamina di elementi che vi propongo richiede però di muoversi attraverso diversi elementi temporali non in linea cronologica tra loro; quasi un’indagine di polizia.
Nel 1951, a sei anni dal termine della seconda guerra mondiale, gli Stati Maggiori di Esercito e Marina danno vita ad un’unità mista (interforze) denominata Settore Forze Lagunari. Soldati e marinai assieme, con mostreggiature simili; sembra quasi un prolungamento della Divisione San Marco vista in precedenza.
Il 25 ottobre 1973 partecipo alla Festa del reggimento lagunari “Serenissima” ed assisto a una dimostrazione di Lagunari che saltano in acqua da un elicottero per essere poi recuperati da gommoni in corsa.
Altri ancora saltano a terra, da un altro elicottero, di fronte alla tribuna degli spettatori e ai reparti schierati. Questi Lagunari, che indossano fazzoletti neri e berretti di tela mimetici, sono presentati come «Incursori».

L’anno successivo, nel corso dell’esercitazione “Dark Image 74”, li rivedo muovere nei canali della Brussa. Chi pretende di giudicare con ‘l’oggi’ come riferimento trasalirà nell’udire questo termine, poiché oggi gli Incursori sono marinai, soldati e avieri di reparti appartenenti alle Forze Speciali delle rispettive forze armate. 

La prova documentale di quanto affermo si trova nella pubblicazione N. 5891 impiego del gruppo tattico lagunare al livello di battaglione (N. 782 della serie dottrinale), 1968, in cui la formazione di questi Lagunari particolari si deve alla fusione di due incarichi presenti negli organici dei tre battaglioni anfibi che costituivano il reggimento fino al 1975: esploratori e pionieri.

Ignoro se esistesse una simile pubblicazione che delineava l’impiego dei reparti che costituivano il Settore Forze Lagunari e quali termini contenesse. Questa, distribuita dopo undici anni dalla scissione Esercito-Marina e quattro anni dalla creazione del Reggimento Lagunari “Serenissima” impiega un termine (incursori) che oggi fa trasalire ma che in quegli anni appare nel lessico delle Forze Armate. Infatti, nel 1952 la Marina Militare crea il Gruppo Arditi Incursori che nel 1956 viene diviso (seppure per un brevissimo periodo) in due aliquote, denominate “Incursori Navali” e “Incursori Costieri”.
«Cosa c’entra tutto questo con noi esploratori anfibi?» vi state nuovamente chiedendo.

Temo che la risposta non sia né immediata né netta. Richiede la stessa fiducia nella bussola di chi nuota sott’acqua di notte.

Gli ufficiali lagunari che hanno partecipato, o contribuito, alla stesura della pubblicazione N. 5891 sono figli di quegli anni post-bellici e condividono molte caratteristiche dei colleghi marinai per quanto riguarda il combattimento anfibio. Ecco quindi che il termine incursori ha un suo perché.

Quando, nel 1973, il reggimento lagunari decise di dotarsi di personale in grado di operare sott’acqua, tra le dotazioni particolari per assolvere i compiti che si intendeva loro assegnare c’erano tre voci il cui significato ha richiesto un certo tempo per essere decifrato
Questi erano:
ancorotti da lancio per incursori
samurai navali
samurai costieri.

Ancora una volta l’utilizzo di termini che hanno un diretto collegamento con la Marina Militare. I primi oggetti altro non sono che ‘rampini d’abbordaggio’ – utili per scalare pareti verticali – mentre gli altri due avrebbero dovuto essere un particolare tipo di porta-caricatori per mitragliette in calibro 9mm destinato ad equipaggiare gli incursori navali e costieri citati in precedenza. Che nel registro di carico attrezzature subacquee del reggimento lagunari ci fossero tali voci non credo fosse dovuto per ispirazione Divina. E voi?
È possibile che qualcuno dei nostri ufficiali avesse in qualche modo pensato di affidare a noi alcuni dei compiti propri degli incursori costieri per un momento ipotizzati dalla Marina Militare?

Un inaspettato tassello del puzzle l’ho portato a casa da Alessandria d’Egitto.
Impegnati nell’esercitazione internazionale “Bright Star 97”, una sera sbarcammo da Nave “San Marco” – ormeggiata nel vicino porto di El Dekheila – per partecipare ad una serata organizzata dal Consolato Italiano. Poiché, per l’occasione, quella sera indossai il nostro fazzoletto nero (in quel periodo mal tollerato) appena entrai nel salone dei ricevimenti un’anziana signora, con il viso illuminato da uno smagliante sorriso, mi venne incontro esclamando, ad alta voce: «Sono tornati gli Arditi!» «Abbiamo scordato le nostre radici e così non sappiamo più chi siamo.»

Con queste parole il Maestro Riccardo Muti apre un’intervista rilasciata al giornalista e scrittore Aldo Cazzullo, pubblicata su una rivista che ho sfogliato in una sala d’attesa.
Me la sono segnata poiché è esattamente ciò che sto cercando di fare utilizzando questo sito web creato da Domingo: non dimenticare chi siamo né da dove veniamo.
Proprio nel tentativo di dare una risposta a questo ultimo punto sta l’essenza di questa ricerca nel passato delle Forze Armate Italiane per trovare elementi che, seppure con un sottilissimo filo, ci collegassero a uomini che hanno avuto le nostre stesse inclinazioni, identico modo di agire ed uguale spirito di corpo.
Da quando siamo nati come pionieri-subacquei, noi esploratori anfibi abbiamo coltivato caratteristiche e peculiarità riscontrabili nei soldati e marinai indicati in questo lavoro di ricerca. E non per aver letto qualcosa su di loro ma, al contrario, trovando interessanti analogie man mano che venivamo a contatto con documentazioni che li descrivevano.
Mancano alcuni tasselli del puzzle ma credo che il risultato della mia indagine porti a supportare la tesi che parte del DNA di quei soldati e marinai speciali vissuti nelle nostre caserme sia nel codice genetico degli esploratori anfibi e Recon che continuano ad addestrarsi e a prepararsi nelle medesime acque e con lo stesso identico fervore.

Come ho detto all’inizio, tutto questo è solo una mia idea; e nessuno me la toglie. 

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